In Albania ho lasciato un pezzo di cuore...

Quello che segue non è una guida turistica, né un itinerario da copiare punto per punto. È un racconto personale, un piccolo storytelling testuale emozionale di un viaggio in Albania, tra natura, paesaggi e storia. La descrizione è abbastanza lunga, lo so. Ma credo che ogni dettaglio meritasse di essere raccontato, perché questa terra mi ha colpito in profondità. Se hai voglia di perderti per qualche minuto tra colline, strade tortuose e città sospese nel tempo… allora mettiti comodo/a e viaggia con me.

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A febbraio io e il mio fidanzato siamo atterrati a Tirana: io un po’ straniera, lui un po’ di casa. L’aria vivace e il cielo velato ci hanno accolti in una terra tutta da riscoprire. Dopo aver noleggiato l’auto, abbiamo intrapreso un viaggio verso l’entroterra albanese, lasciandoci alle spalle il rumore della capitale per abbracciare la quiete di una natura sorprendente. Le colline rigogliose, punteggiate da filari ordinati e campi coltivati con cura, si rincorrevano fino all’orizzonte. Ogni curva regalava una nuova sfumatura di verde, un senso di libertà, aria pulita, viva.

Giunti a Berat, la “città dalle mille finestre”, siamo stati travolti da un’atmosfera sospesa nel tempo. Le sue case bianche adagiate sulla collina, l’odore del legno antico, raccontavano una storia secolare — ma anche un passato più recente, complesso e intenso, che ancora riecheggiava tra i vicoli.

Berat non è solo un gioiello ottomano: è anche una testimone silenziosa del periodo comunista, uno dei più duri e isolanti della storia europea contemporanea. In quelle mura spesse si percepisce l’eco di un tempo in cui l’Albania viveva sotto una delle dittature più chiuse e repressive del continente. È come se la città portasse ancora le cicatrici invisibili di quegli anni: una sorta di malinconia gentile che si mescola alla sua bellezza, donandole una profondità unica.

Passeggiare per Berat è come entrare in un racconto doppio: da una parte, la gloria di un’architettura antica; dall’altra, la memoria di un popolo che ha resistito, che ha lottato per la propria libertà e identità, e che oggi guarda avanti con fierezza, senza dimenticare. Si respira una storia vera. Una storia fatta di fatica, silenzi, ma anche di rinascita.

Dopo questa importante riflessione torno al racconto...

Un giorno abbiamo deciso di visitare un canyon poco distante. Due ore di macchina tra paesaggi mozzafiato e strade deserte ci hanno portato in un luogo che toglieva il fiato. Ma il vero incanto non era solo la meta: era il tragitto. Casette semplici e campi infiniti coltivati con viti, ulivi, alberi da frutto, parlavano di una vita genuina, dove ogni cosa è fatta con lentezza, dedizione e una bellezza senza artifici.

Nei giorni successivi ci siamo spinti verso la costa. La strada, nuova e tortuosa, si arrampicava tra burroni profondi e viste da vertigine, attraversando anche Gjirokastër, malinconica sotto il cielo di febbraio. Nonostante il clima grigio, ogni angolo sembrava un dipinto.

Poi è arrivata Sarandë, situata tra le colline e il mare. Lì l’aria era diversa: odorava di sale e di promesse estive. Ristorantini, spiagge intime e una cittadina che si arrampica con eleganza, vivace anche in inverno.

Il vero gioiello, secondo me, è stata senza dubbio Vlorë. Dopo due notti a Sarandë, abbiamo imboccato una strada alternativa per raggiungerla – quella ufficiale era chiusa – affrontando salite ripide e tornanti drammatici. Ma il sole, alto e dorato, baciava ogni curva, e quel mare turchese che si vedeva dall'alto, cristallino e luccicante, era uno spettacolo lontano e quasi irreale. Vlorë ci ha accolti con il suo lungomare infinito, ordinato e vivace, i giardini curati e un’atmosfera che sapeva già d’estate, anche in pieno inverno. Ristoranti sul mare, musica nell’aria, risate e il profumo di pesce grigliato che si spandeva tra le vie.

Risalendo la costa, abbiamo attraversato Dhermi, Himarë, Tepelenë, fino a Durrës, altra perla sul mare. Il tempo a disposizione era poco, ma bastava un solo sguardo per innamorarsi di quel blu infinito.

Voglio soffermarmi su un aspetto che mi ha davvero sorpresa: i sapori dell'Albania, una vera scoperta. Ogni piatto raccontava il territorio: ingredienti freschi, sapori veri, genuini, come quelli di una volta. Nulla era artificiale. Si sentiva che ogni pomodoro, ogni oliva, ogni pezzo di pane era frutto di mani esperte e pazienti. E tutto questo a un costo impensabile per chi è abituato ai prezzi gonfiati delle metropoli europee.

Ma l’Albania non si racconta solo con i suoi piatti, si svela anche attraverso una cultura ampia, radicata, fiera. Un Paese profondamente patriottico, dove l’identità nazionale si sente forte, mai ostentata. Ogni angolo ha una storia da tramandare, ogni persona un orgoglio da condividere. Le musiche tradizionali, dai ritmi intensi e a tratti malinconici, accompagnano ancora feste e ricorrenze. Gli usi e i costumi non sono folklore da cartolina: sono parte viva della quotidianità. In Albania, le radici non si dimenticano, si coltivano. E forse è proprio questa connessione profonda con la propria storia, unita alla forza di guardare avanti, che rende l'Albania un Paese così speciale.

Questo è quello che mi ha toccato di più: l’Albania dell’entroterra è un salto nel passato, un luogo dove il tempo scorre più lentamente, dove la vita è ancora scandita dai cicli della natura e non dalle corse del mercato. È una terra poco toccata dal turismo, e proprio per questo meravigliosamente autentica. Ti obbliga a guardarti dentro, a riflettere su quanto la semplicità — quella vera — sia un tesoro che troppo spesso dimentichiamo, offuscati da un mondo che corre troppo veloce e vuole troppo, tutto.

Di questa breve vacanza porterò nel cuore ogni dettaglio: le strade deserte, i sorrisi gentili, il mare cristallino i sapori autentici e le tradizioni. L'Albania ti entra nel cuore con la sua bellezza sincera, lasciando un ricordo indelebile che non svanisce mai.

Ti è venuta voglia di partire?

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Un viaggio nel cuore autentico dell’Albania